Specializzato in psicoterapia cognitiva

Demenza, una condizione famigliare

Cos’è la demenza

Secondo la definizione di Spinnler la demenza “è una complessa modificazione comportamentale, di tipo quasi esclusivamente riduttivo, in cui si assommano molteplici difetti di natura cognitiva e psichiatrica, ad andamento evolutivo sistematicamente peggiorativo”. Ne deriva l’andamento progressivo della compromissione cognitiva e la sempre maggiore crescente inadeguatezza nell’affrontare le situazioni di vita quotidiana, determinando ciò che è definibile come incompetenza ecologica, e quindi l’incongruenza di alcuni comportamenti relativamente al contesto sociale e alle aspettative di chi lo circonda.

Lo stato d’invecchiamento associato ad una forma di demenza può quindi rappresentare una tappa della vita che comporta notevoli cambiamenti della propria esistenza e dei famigliari che sono accanto al malato e che si prendono cura di lui.

Vengono infatti coinvolte importanti dinamiche intrapsichiche relazionali a fronte delle problematiche che si presentano, fra cui la progressiva perdita dell’autonomia, causando una radicale modificazione delle abitudini di vita del paziente,  della sua famiglia e dell’assetto affettivo-relazionale.

Famiglia del paziente

La famiglia si trova a dover impegnare diverse risorse per fare fronte allo stato di disagio e disabilità, in termini di tempo da dedicare al proprio caro. Avviene spesso un cambiamento della gestione dei rapporti extrafamigliari ed è frequente l’inversione dei ruoli con conseguente rinuncia dell’identità del malato, che non corrisponde più a ciò che era ed alle aspettative che si avevano su di lui. Questo può comportare fattori psicologici difficili da gestire, quali per esempio la sensazione di perdita, o la sensazione di impotenza, o l’ansia per la difficoltà di comprensione o di accettazione di quanto sta avvenendo

Il riassestamento degli equilibri socio-familiari deve essere accompagnato anche da un riadattamento dell’ambiente in relazione al miglior mantenimento possibile delle capacità funzionali residue del paziente, anche per contenere al massimo il manifestarsi dei disturbi comportamentali.

E’ frequente che un famigliare reagisca, in un primo momento, attuando una difesa che è la negazione, cioè il rifiuto ad accettare la realtà e quindi quanto sta avvenendo al malato e di riflesso a tutti i famigliari.

La difficoltà di accettazione determina spesso la ricerca illusoria di un errore diagnostico, andando quindi a dubitare la professionalità dei medici  alla ricerca di eventuali soluzioni miracolose.

Può insorgere nel caregiver anche un alto livello di emotività, caratterizzato dalla compresenza di diversi fattori che possono andare dall’ansia all’ipercoinvolgimento emotivo, dal senso di colpa alla rabbia, fino a giungere in ultimo ad una rassegnata accettazione dello stato reale di salute del proprio caro e della propria impotenza.

Intervento per la famiglia

E’ utile quindi attuare un progetto di informazione e sostegno alla famiglia, con l’obiettivo di offrire aiuto per la gestione dei disturbi comportamentali, per lo stress del sistema familiare, che può risentire particolarmente della nuova situazione di dolore e d’impotenza.

Gruppo di famigliari

Si ipotizza quindi la costituzione di un gruppo di famigliari di malati  che si incontrano periodicamente al fine di confrontarsi e discutere su problematiche riscontrate nella gestione del malato.  Ciò di cui necessita la famiglia è principalmente la possibilità di ricevere informazioni attraverso programmi educativi, da cui trarre informazioni e spiegazioni relative al quadro cognitivo ed alle modalità migliori per entrare in relazione.

E’ possibile inoltre dare risposta ad un altro bisogno, sebbene possa essere avvertito di minore importanza, che consiste nella possibilità di una condivisione di esperienze, vissuti, conoscenze ed emozioni, cercando di allentare il carico di disagio che spesso è vissuto unicamente nella propria solitudine. Sovente, infatti, si è restii ad ammettere le proprie difficoltà con qualcuno che non vive lo stesso problema, quando invece può esserci il bisogno di potere ricever appoggio e conforto, soprattutto in particolari momenti di frustrazione in cui il senso d’impotenza può spingere anche alla ricerca di false speranze. Può essere di aiuto parlare dei propri vissuti e delle proprie problematiche con una persona di fiducia e competente che conosce la demenza e che può capire le difficoltà affrontate. I diversi membri del gruppo possono aiutare a comprendere meglio ciò che un singolo sta vivendo, attraverso la condivisione e il sostegno reciproco, indispensabile per realizzare che non si è soli e non si è diversi dagli altri.

La persona con demenza

Il paziente generalmente non è consapevole di questi disturbi, che fungono come meccanismo difensivo attuato a fronte delle proprie difficoltà e disabilità. Il famigliare, da parte sua, non comprende e non conosce quali possono essere i comportamenti più adeguati da mantenere di fronte a determinate manifestazioni comportamentali, difficili da comprendere ed interpretare; fatica a realizzare e accettare che fanno parte del quadro di compromissione e che non sono  messi in atto appositamente e volontariamente dal demente. Possono manifestarsi sotto forma di:

  1. atteggiamenti di negazione delle proprie difficoltà
  2. ansia, agitazione, aggressività
  3. confusione, smemoratezza e scambio di persona
  4. attaccamento patologico ai famigliari
  5. vagabondaggio e tentativi di fuga
  6. sindrome del tramonto e confusione serale
  7. uso e abuso di alcool o fumo
  8. disturbi dell’umore, depressione, apatia, insicurezza
  9. lamentele senza una reale causa apparente
  10. disturbi del sonno o dell’attività sessuale
  11. deliri, allucinazioni

Interventi non farmacologici

Si rende necessario gestire questi disturbi adottando strategie comportamentali non-farmacologiche, anche se può non essere facile e immediato; per esempio, nel caso di aggressività manifestata dal malato di Alzheimer, può essere difficile per un parente comprendere che non è rivolta in modo consapevole verso di lui, ma è solo un’espressione del danno cerebrale e può essere conseguente alla sensazione di confusione-agitazione-incapacità provata  a fronte delle  difficoltà.

E’ possibile quindi dare avvio ad un intervento psicologico per aiutare i familiari ad affrontare gli effetti della malattia, cercando di limitare e contenere nel limite del possibile i suoi effetti, in un momento in cui spesso la famiglia si vede la sola responsabile del carico assistenziale.

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    Pietro Mignano psicologo psicoterapeuta Legnano