COS’è la LA PEYRONIE
La malattia di La Peyronie colpisce l’organo genitale maschile ed è caratterizzata dalla formazione di una placca di tessuto fibrotico cicatriziale sull’asta peniena, a livello del tessuto che ricopre i corpi cavernosi (Milenković, 2019)
Questa placca, non essendo elastica, provoca, oltre ad una sintomatologia dolorosa, anche una curvatura del pene in erezione che va dai 10 a oltre 90 gradi o anche deformazioni di restringimento tipo a clessidra. Col tempo la malattia determina un significativo accorciamento dell’organo e in molti casi può essere accompagnata da disfunzione erettile (Frederick L. Taylor 1, Laurence A Levine, 2020).
Il decorso della malattia si articola in due fasi:
- Fase acuta, di natura infiammatoria, durante la quale avvengono le variazioni della forma o della lunghezza del pene;
- Fase cronica durante la quale c’è una stabilizzazione e non avvengono più alterazioni morfologiche, ma il pene rimane deformato.
La diffusione della malattia di La Peyronie risulta intorno all’8%, con maggior diffusione dopo i 50 anni, ma la stima precisa risulta difficile in quanto si presume che molti pazienti, proprio per la natura stessa della malattia, non si sono mai rivolti nemmeno al medico di base: non è quindi una patologia così rara come si potrebbe pensare (Nicola Mondaini 2021).
È comprensibile come tutto ciò si traduce in difficoltà a condurre una normale e soddisfacente vita sessuale.
DIAGNOSI DI MALATTIA CRONICA: TRA IDENTITA’ e CAMBIAMENTO
Ogni forma di malattia può risultare profondamente stressante per la persona malata e per il suo intero contesto famigliare. Questo è tanto più vero quanto più la malattia diventa cronica; i sintomi non si risolvono e non migliorano nel tempo andando ad interferire anche con il senso di identità personale.
Il momento in cui la persona entra in contatto con una malattia cronica si rileva spesso traumatico perché è necessario riformulare forzatamente i propri disegni di vita, quelli del sistema famigliare e del sistema socio-lavorativo. Per forza di cose cambia il modo di vedere noi stessi e gli altri, dando vita ad un difficile processo di adattamento.
I disagi emotivi possono essere amplificati dal fatto che non sempre sono disponibili cure mediche che possono risolvere il problema in maniera soddisfacente.
La malattia di La Peyronie è una condizione medica di difficile soluzione, anche a livello chirurgico. I tentativi di cura risultano spesso poco risolutivi o risolutivi solo in parte.
Le terapie sono rivolte solo all’arresto della progressione della fase infiammatoria della malattia e alcune volte ad ottenere un miglioramento della morfologia peniena.
Il paziente spesso non se la sente di affrontare i rischi o le complicanze di un intervento chirurgico, arrivando a pensare di trovarsi in uno stato fisico irreversibile, con i possibili sensi di colpa o di pessimismo.
Ne conseguono risvolti a livello psicologico, sociali, famigliari o di coppia.
EFFETTI PSICOLOGICI e SOCIALI
Una delle principali conseguenze della malattia di La Peyronie è il disagio emotivo (Terrier e Nelson – 2016), che si manifesta principalmente con la riduzione dell’autostima, la preoccupazione per la salute in generale, tensione ed un alto livello di stress; da ciò possono derivare risvolti negativi a livello di relazioni sociali e di coppia; si presentano spesso anche sintomi depressivi e una marcata riduzione della qualità di vita (con un possibile isolamento sociale), tanto che si possono rendere necessari un sostegno psicologico o anche psichiatrico.
È frequente che il paziente venga invaso da svariate sensazioni, come:
- Tristezza
- Perdita di interesse verso le normali attività di vita quotidiana o verso i propri hobby
- Senso di inferiorità o anormalità ed inutilità
- Marcato imbarazzo e bisogno di nascondersi
IMMAGINE DI SE’
Spesso il paziente vede intaccata l’immagine di sé e l’identità personale, dal momento che può avere l’impressione di essere una persona disabile e brutta a fronte della difformità che lo caratterizza. Siamo infatti di fronte ad un’alterazione della parte più intima del soggetto, con il conseguente bisogno di nasconderlo a tutti, anche al proprio partner. Possono spesso insorgere paure e dubbi sulla capacità di procreazione.
Diversi studi della letteratura (Terrier, Nelson, 2016 – King et al., 2019) attestano che il pene ricopre un ruolo di grande importanza per l’uomo per la costruzione della propria autostima e quindi dell’immagine del proprio corpo o di sé come persona, che risulta quindi essere ridimensionata o deformata in caso di una forma anomala.
RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE-PSICOLOGO
A causa della delicatezza del problema il paziente si affida all’andrologo con fiducia. Il rapporto medico-paziente deve pertanto essere attento, diretto e informato. L’andrologo ha un compito cruciale ed è necessario che informi correttamente il paziente sulle reali possibilità di guarigione e di cronicità della malattia, evitando il più possibile illusioni nei casi in cui non sarà possibile una completa guarigione.
Il delicato equilibrio psicologico che si viene a creare potrebbe essere la causa della disfunzione erettile.
Nel caso la disfunzione erettile sia di natura psichica il supporto psicologico risulta essere l’unica arma a disposizione per ridare al paziente la possibilità di riprendere la propria vita sessuale. Il coinvolgimento del/della partner nel corso della terapia si rivela nella gran parte dei casi un supporto di importanza fondamentale.
I ruoli di andrologo e psicoterapeuta dovrebbero interagire per offrire al paziente la prospettiva di un’eventuale protesi peniena, nel caso la disfunzione erettile sia di natura fisiologica.
EFFETTI FAMIGLIARI – DI COPPIA
La figura del/la partner rappresenta un fattore di primaria importanza per quanto riguarda l’emotività del paziente. Molto spesso il paziente che è carente di autostima, o che rifiuta la sessualità con conseguente sindrome ansioso-depressiva, causa conseguenze emotive negative anche alla compagna.
E’ frequente infatti l’insorgere nella coppia stati stress, insoddisfazione sessuale (Nelson, Mulhall, 2013), tanto che le relazioni diventano spesso conflittuali o dolorose.
Talvolta nella donna subentrano rabbia o sensi di colpa temendo di avere provocato microtraumi che potrebbero essere la causa della formazione della placca (Ralph, 2011).
Il disagio del paziente in alcuni casi può venire amplificato dalla situazione economica familiare che non permette le costose cure, che solo raramente sono coperte dal servizio sanitario nazionale.
IMPORTANZA DELLA PSICOTERAPIA
Come abbiamo già accennato è fondamentale per la buona riuscita della terapia è l’adeguata interazione non solo tra medico e paziente ma anche con lo psicologo. Di fatto la psicoterapia viene considerata il migliore trattamento per la cura della malattia di La Peyronie.
In particolare per quanto riguarda il supporto psicologico, un adeguato approccio psicoterapeutico ha inizio dal fare comprendere al paziente che si può immaginare quale è l’entità del suo disagio emotivo, senza sminuirlo-ridicolizzarlo, ma mostrando la disponibilità ad accompagnarlo nelle difficoltà che vive, evitando di offrire spunti illusori (Tripodi et al., 2013).
Lo psicologo accoglie il paziente ascoltando la storia della sua malattia, la rievocazione del trauma vissuto (quando da un giorno all’altro è stato costretto a prendere contatto con la nuova forma del pene) e le già provate disillusioni.
Uno dei principali obiettivi del terapeuta è riuscire a mettere il paziente a proprio agio accompagnandolo nel ricercare il migliore equilibrio di serena convivenza con la propria condizione fisica e con la realtà che lo circonda.
Il paziente può comprendere che nonostante gli effetti negativi della malattia nella maggior parte dei casi il paziente può ritornare ad avere una soddisfacente e regolare vita sessuale (Dachille, 2019).
Qualora tuttavia la terapia medica non dovesse rivelarsi risolutoria, lo psicologo può accompagnare il paziente a valutare l’eventualità di ricorrere alla chirurgia, sebbene non come la soluzione principale.
CASO DI PSICOTERAPIA
“Non sono in grado di comprendere il disagio che sta provando, ma posso solo immaginarlo”: questa è stata la prima frase che ho pronunciato alla persona che mi ha presentato il disagio derivante dalla sua condizione fisica e che ha consentito la creazione di un senso di fiducia; è stata la prima frase che non è servita a rassicurare il paziente, non potendo avere la pretesa di capire cosa stava succedendo a lui, come invece talvolta alcuni clinici tendono a fare, offrendo speranze illusorie.
Come è stato affermato dal paziente stesso, è una frase che “è stata tutto il contrario di ciò che mi era stato detto fino ad allora parlando della mia malattia, come per esempio: ‘ti, capisco’… ‘non ti preoccupare che io ti amo lo stesso anche così’…, ‘domani starai meglio’”.
Il paziente non si è sentito solo, emarginato e tantomeno deriso; si è sentito bensì accompagnato a guardare sé stesso nella sua complessità, malattia compresa. È stato questo il primo passo verso l’accettazione.
“Oggi, leggendo e scrivendo qui, comprendo che accettarmi nella mia complessità è stato il primo momento in cui ho iniziato a guardarmi allo specchio da persona malata.
Come una persona che non accetta ciò che reputa essere un proprio difetto fisico e vive rinchiusa in casa senza nessuno specchio, rifiutando di guardare il proprio corpo, e necessita di essere accompagnata con delicatezza a guardarsi, in modo da far scattare quella forza per iniziare a prendersi cura di sé… allo stesso modo è stato per me.
In quel momento ho capito che non potevo e non dovevo gettare la spugna; lì è iniziato anche il percorso lungo, duro e difficile che mi ha permesso di trovare la soluzione anche a livello fisiologico; lì è stato il momento in cui, molto probabilmente è iniziato anche il lavoro che mi ha permesso di risolvere a pieno la disfunzione erettile.
Nella vita mi sono trovato ad affrontare svariati periodi di malattia. Ricordo quando mi sono fatto male alla spalla: ero arrivato ad assumere anche 6 forti antidolorifici al giorno, e nonostante ciò avevo le lacrime dal dolore (io ho una soglia del dolore fisico estremamente elevata), non riuscivo più a lavorare e, a volte, nemmeno a provvedere ad alcuni bisogni personali. Ho dovuto per mesi dipendere da altre persone, eppure non è paragonabile con ciò che si prova con la La Peyronie: questa entra in una sfera talmente intima che è difficile da comprendere.
Oggi, che convivo alla grande con questa condizione e che sono stato in grado di riacquistare la mia vita sessuale, non è sempre facile gestire la gioia di questa riappropriazione: forse perché è una cosa così intima e profonda che è difficile capire ed è altrettanto difficile spiegare. …se è difficile gestire la gioia come si può immaginare quanto è difficile gestire il dolore e la rabbia?”
La psicoterapia è uno spazio in cui dolore, rabbia e paura possono essere ascoltate, accolte, condivise al fine di una loro migliore gestione.